Al direttore Paolo Traini
Ai giornalisti del Corriere Adriatico
Sono la moglie di uno dei 13 poligrafici dichiarati in esubero.
Mi rivolgo a lei direttore in quanto molto spesso mio marito mi diceva che il Direttore è a capo di un giornale come il capitano di una nave.
In questi 25 anni, mio marito, è sempre stato orgoglioso di fare parte della nave dell’informazione regionale.
Sabato 10 luglio ho partecipato anch’io allo sciopero accanto a molte altre mogli, ai figli e ai parenti dei 13 poligrafici ritenuti eccedenti.
Sono rimasta allibita nel constatare che né lei né alcuno dei suoi giornalisti si è avvicinato al presidio per esprimere solidarietà a quelle persone che per anni hanno garantito l’uscita del giornale quotidiano.
Né un saluto, una stretta di mano, un “siamo con voi”. No, abbiamo assistito invece a lei che entrava dal retro.
E la stessa scena si è ripetuta nei successivi giorni di sciopero.
E’ triste essere giunti alla mia età e vedere dissolti valori e punti di riferimento come il LAVORO e la DIGNITA’ che ne deriva, la SOLIDARIETA’ e l’ONESTA INTELLETTUALE che hanno caratterizzato la mia vita e per i quali mio padre, ma credo anche il suo, hanno lottato, conquistandoli con sudore e sangue.
Mi potrà dire “Io che c’entro con le scelte dell’azienda? Anch’io sono un loro dipendente.”
Io credo che all’attuale diffusione della locuzione “Io che c’entro, che ci posso fare…” bisognerebbe sostituirne un’altra, da tempo dimenticata, “I care”.
Era il motto di Don Lorenzo Milani e vuole dire, se lo avesse dimenticato, “mi importa, mi interessa, ho a cuore”.
Ognuno può fare la sua parte e vorrei proprio conoscere le sue ragioni per:
– non aver posto alcun tipo di dissenso e resistenza a che le mansioni e il lavoro dei poligrafici venissero anzitempo sottratti e dati ai giornalisti sebbene fosse già stato dichiarato lo stato di agitazione
– non aver mai pubblicato un articolo o un comunicato in cui esprimeva il suo appoggio e la solidarietà nei confronti di uomini e donne che lavorano da anni con lei
– aver assecondato le “politiche” editoriali dell’azienda che hanno portato allo snaturamento della peculiarità del nostro quotidiano che era la capillarità e l’informazione della “gente per la gente”.
Mi dispiace vedere che l’esempio di chi abbandona la nave o resta incurante a guardare, sia ben più forte di tante altre storie di uomini lavoratori che hanno speso parole, energie e a volte anche la vita per affermare “I care”.
Questa mia lettera aperta ha un intento, rompere il silenzio e l’insabbiamento che c’è riguardo a quanto sta accadendo davanti l’ingresso del suo giornale (come mai sul TG3 o altri mezzi di informazione non passa mai la notizia di questi scioperi e dello stato di agitazione?) e una timida speranza, quella che mi risponda portando il suo punto di vista e le sue motivazioni.
Potrei condividerle, o forse no, ma almeno potrebbe dimostrare ai nostri mariti in esubero e a noi famiglie che ci ha visti, che esistiamo e che anche lei, in qualche modo, può affermare “I care”.
Ripeto è una timida e flebile speranza, ma come ben sa, la speranza è sempre l’ultima a morire.
Catia con Donatella, insieme alle altre mogli dei poligrafici in esubero